Dalla mezzadria all’enoturismo, passando per Brunello e Moscadello: la storia di Capanna

Nel lontano 1957, quando Montalcino era tutt’altro che ricca e splendente, il mezzadro Giuseppe Cencioni decise di mettersi in proprio acquisendo Capanna, uno dei poderi più antichi del territorio, risalente al XVI secolo e situato a nord, nella zona di Montosoli. Capanna di nome e di fatto: era un rifugio per i boscaioli, lavoro che all’epoca andava per la maggiore (la fonte di rendita principale non era il Brunello ma il bosco), non c’era la linea elettrica e i pochi vigneti erano misti ad olivi.

Giuseppe, insieme ai figli Benito e Franco, si dette da fare e creò una delle prime aziende dell’epoca moderna del Brunello. Già negli anni Sessanta iniziò ad imbottigliare i propri vini, nel 1967 fu uno dei 25 fondatori del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino e nel 1975 iniziò a vendere il Brunello in Germania. Adesso l’export, che vale oltre la metà delle vendite, raggiunge tantissimi mercati del mondo, dal Nord Europa agli Usa, dal Giappone alla Russia fino alla Cina. Si producono 70-80.000 bottiglie all’anno, di cui 30-35.000 di Brunello, ma l’azienda è tutt’ora condotta a livello esclusivamente familiare, sia sotto il punto di vista agronomico che sotto quello enologico.

Alla guida di Capanna ci sono il nipote di Giuseppe Cencioni, Patrizio (già presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino dal 2016 al 2019) e suo figlio Amedeo, entrato a tempo pieno nel 2012 dopo la Laurea Magistrale in Scienze Viticole ed Enologiche all’Università di Torino. “Abbiamo 65 ettari dei quali 25 a vigneto (12 a Brunello, 2,5 a Rosso di Montalcino e 3 a Moscato bianco), più 7 ettari di oliveto, il resto tra bosco e seminativo”, spiega Amedeo Cencioni. In produzione ci sono il Brunello (nelle migliori annate anche la Riserva), il Rosso di Montalcino, il Sant’Antimo (bianco e rosso), due Igt Toscana (Rosso del Cerro e SanGioBì, 100% Sangiovese vinificato in bianco) e il Moscadello, il vino storico di Montalcino apprezzato dal grande poeta Ugo Foscolo e decantato da Francesco Redi (“leggiadretto / del sì divino / Moscadelletto di Montalcino”, “un tal vin lo destino per le dame di Parigi, e per quelle, che sì belle rallegrar fanno il Tamigi”).

“Ci crediamo molto”, sottolinea Amedeo, che fa notare come a Montalcino ci siano solamente 50 ettari di moscato (in gran parte di proprietà di aziende più grandi, come Banfi, Col d’Orcia e Il Poggione) e tre sono a Capanna. “Produciamo il Moscadello base e la vendemmia tardiva. Entrambi provengono dalle stesse uve ma il risultato è completamente diverso. Nel primo caso raccogliamo verso metà settembre e otteniamo un vino più fresco, con alcolicità contenuta, più facile da abbinare a un dolce semplice, alla biscotteria, al gelato. Mentre si raccoglie l’uva per il Moscadello base lasciamo dei grappoli in vigna, che poi schiacciamo per velocizzare l’appassimento, e siamo alla vendemmia tardiva. Se il base affina tre mesi in acciaio, la vendemmia tardiva passa 18 mesi in legno ed è un prodotto abbinabile anche ai formaggi”. Capanna offre anche delle tipologie di grappa di Moscadello e grappa di Brunello, oltre al pregiato olio extravergine di oliva.

L’azienda non è biologica, “ma limitiamo al minimo i trattamenti e l’impatto chimico sull’ambiente”, assicura Cencioni. “Da quest’anno stiamo provando una “chimica zero”, senza nemmeno rame e zolfo, su un nuovo vitigno impiantato, utilizzando dei microrganismi antagonisti alle malattie crittogamiche. E dal 2015 porto avanti una sperimentazione sulla defogliazione precoce, nel mese di maggio, a inizio fioritura, che porta vantaggi sulla qualità sia dal punto di vista enologico delle uve sia dal punto di vista fitosanitario. Uve più sane richiedono meno trattamenti”.

In programma c’è l’ultimo ampliamento della cantina, tutt’ora collocata nella parte più antica del podere e negli anni ampliata conservando tutti gli elementi costruttivi ed architettonici tipici della campagna toscana. Ma il fiore all’occhiello di Capanna è l’agriturismo inaugurato nell’estate 2019, dotato di centro benessere, ristorante e piscina a sfioro che si apre sulle meravigliose colline della Valdorcia patrimonio Unesco. Dopo il lockdown il resort ha riaperto dal 5 giugno “e devo dire che non mi aspettavo questo flusso di prenotazioni nell’immediato”, ammette Amedeo. “Chiaro, è cambiata la clientela, adesso sono soprattutto italiani. Ma lo scorso weekend siamo stati pieni, idem per il prossimo fine settimana. Ripartiremo e supereremo anche questa difficoltà”.