Da rifugio di guerra al Brunello “inaspettato”: la storia di Scopone

È stata prima residenza per le famiglie di contadini che lavoravano nella zona, sin dal XIX secolo, e poi rifugio per gli sfollati durante la Seconda Guerra Mondiale. Un luogo che per tanto tempo gli anziani di Montalcino hanno ricordato con affetto. Parliamo di Scopone, chiamata così per via dei folti scopi che tutt’oggi popolano il bosco e di proprietà, dal 1992, di Andrea Genazzani e Theresia Baijens. “Siamo arrivati a Montalcino per puro caso, il nostro intento non era di certo fare vino”, racconta Theresia, olandese, che ha incontrato Andrea, fiorentino, a Siena, dove era arrivata per imparare l’italiano. “Con mio marito, ginecologo e endocrinologo, stavamo organizzando seminari e workshop in campo medico e cercavamo una casa di campagna in Toscana per accogliere i colleghi stranieri. Siamo andati avanti con gli eventi fino al 2005, ospitavamo fino a 60 persone”.

Scopone, nei primi anni Novanta, aveva un piccolo vigneto promiscuo. Settimio Dinetti, il fattore della proprietà, si propose di produrre dell’olio e del vino novello e ne regalò una damigiana alla famiglia Genazzani, che la offrì a una festa di Natale a Modena, città in cui Andrea Genazzani stava lavorando. “Il vino ebbe un grande successo e sparì in un soffio”, ricorda Theresia. Nacque, così, l’idea di trasformare Scopone in un’azienda vinicola.

Dai 1,5 ettari iniziali siamo arrivati ai 12 ettari attuali, dei quali poco più di 3 a Brunello, 2 a Rosso e la restante parte a Sant’Antimo. Nel mezzo la costruzione della cantina e l’acquisizione delle conoscenze necessarie per fare un grande vino, grazie anche a preziosi contributi. Come quello di Giacomo Tachis, amico di famiglia. “Con mio marito si incontrava spesso in Sardegna, aveva chiesto qualche consiglio medico e in cambio ci dette una mano”, sottolinea Theresia. O come quello di Ezio Rivella, che dopo l’esperienza di Banfi ha aiutato Scopone sul piano enologico (oggi se ne occupa Maurizio Castelli, che cura anche il lato agronomico fino a poco tempo fa appannaggio di Valerio Barbieri, altro grande amico di Tachis). In cantina, invece, c’è Roberto Dinetti, figlio di Settimio.

A dedicarsi in prima persona dell’azienda è Theresia. “Mio marito beve il Brunello con grande piacere ma non ha tempo, sono io che mi occupo dell’organizzazione, della comunicazione, del marketing e della vendita. Viviamo a Pisa, vengo a Scopone un paio di giorni a settimana. I nostri quattro figli hanno passato spesso i weekend in azienda con gli amici, ma hanno scelto altre professioni”.

Quasi 10.000 le bottiglie annue di Rosso di Montalcino, fino a 30.000 tra Supertuscan e Sant’Antimo e 18.000 di Brunello, che include anche una piccola selezione, il Brunello L’Olivare, che nasce dalla zona più recente (1,5 ettari risalenti al 2002), circondata dagli olivi. “È un vero e proprio terroir, ne nasce un vino più dolce e amabile. Per questo abbiamo deciso di vinificare separatamente, ne produciamo 5.000 bottiglie”. Le etichette dei vini sono state riprese da opere eseguite da un amico di famiglia, il pittore modenese Sandro Pipino.

Scopone esporta il 90% dei vini, principalmente in Usa, Canada, Germania, Belgio, Danimarca, Sud America. E l’Olanda, terra natia di Theresia? “Non molto, è un mercato difficile. E poi non ci vivo da tanto tempo, non ho più contatti diretti”. Montalcino, per Theresia Baijens, rappresenta un piccolo gioiello. “Amo venire qui per passeggiare nella natura, ammirare il paesaggio. E poi c’è la bellezza di fare un vino così prestigioso, seguendo il bellissimo ciclo naturale. Il mondo del vino, tra nuove sfide e incontri con altri produttori, è davvero appassionante”.