Dal trading immobiliare al Brunello, per inseguire una passione giovanile: la storia di San Filippo

Fino ai primi anni Duemila Roberto Giannelli, fiorentino, si occupava di trading immobiliare. Il mondo del vino lo aveva accarezzato quando, con gli amici, aveva visitato alcune cantine, soprattutto nel Chianti. Poi, nel 2003, una coincidenza lo portò per la prima volta a Montalcino. “Mi avevano chiesto un parere per immettere sul mercato l’azienda San Filippo, se conoscevo qualcuno interessato a rilevarla – racconta Giannelli – e alla fine mi sono deciso a comprarla io. Certo, non è stato uno scherzo. Avevo 37 anni e parliamo di una proprietà di 22 ettari di cui 10 vitati. Ma il sistema bancario a quel tempo ti aiutava, ho avuto il supporto di alcuni produttori. E poi, semplicemente, mi ero innamorato di Montalcino. Così ho ceduto le mie partecipazioni e mi sono lanciato nel mondo del vino, misurandomi con uno dei territori enoici più prestigiosi”.

La situazione, inizialmente, non era delle migliori. “L’azienda era bellissima, per come era posizionata e per il valore dei vigneti. Ma il vecchio proprietario era morto da due anni e la gestione non dico che fosse ferma ma quasi. L’ho risollevata attraverso nuovi investimenti, sia in campagna che in cantina e, piano piano, anno dopo anno, è stata portata al livello che merita”.

San Filippo, azienda bio dal 2013, conta 22 ettari tra bosco, oliveto e 10 ettari vitati di cui 5,5 a Brunello e 2,5 a Rosso di Montalcino, per una produzione annua di 15.000 bottiglie di Rosso di Montalcino e 25-27.000 di Brunello tra annata, Riserva (3.000 bottiglie, negli anni migliori) e il cru, il Brunello di Montalcino Le Lucère, che proviene “da vigneti che godono di un’esposizione eccezionale, all’interno di un anfiteatro boschivo, in un terreno sedimentoso, sabbioso e con zone di galestro”.

L’export vale l’80% e i vini di San Filippo sono presenti in ben 27 Paesi del mondo. “Gli Usa sono il nostro mercato più importante, seguiti da Asia ed Europa. C’è una buona ripartizione e sono anni che sta andando molto bene. Abbiamo registrato un trend di crescita qualitativa e di immagine molto marcato. Il 2020 siamo riusciti a superarlo in modo positivo, non abbiamo avuto ripercussioni negative”.

Il futuro sarà sempre più improntato sui vigneti. “Credo molto nella parcellizzazione – conclude Giannelli – questo è un territorio straordinario, adesso è in grado di compiere quell’ulteriore salto di qualità e si può fare con la parcellizzazione. Parlando con i clienti e i collezionisti emerge la richiesta di far capire che Montalcino non è un’unica cosa, ma tante cose messe insieme, tutte di altissimo livello. È il momento di seguire l’esempio di Barolo, intrapreso anche nel Chianti Classico. Ci sono tanti modi per iniziare il percorso. Si potrebbe suddividere inizialmente il territorio in macro-aree, per poi parcellizzare le varie zone. Sarebbe un valore aggiunto e, a beneficiarne, sarebbero tutti i produttori, perché non c’è una zona che riscontrerebbe conseguenze negative”.