“Capodanno del vignaiolo”, è San Martino

La vendemmia nella storia di Montalcino“La nebbia agl’irti colli piovigginando sale e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar”. Con questi primi versi, della poesia “San Martino”, Giosuè Carducci, raccontava San Martino, la festa dedicata al mondo rurale e ad uno dei santi più celebri fin dal Medioevo perché a lui connessi tanti detti, proverbi, riti, usanze e tradizioni gastronomiche in molti luoghi dell’Italia.
La tradizione vuole che, proprio l’11 novembre, nelle campagne, si festeggiasse il raccolto e, con la nuova annata agraria, il rinnovo dei contratti ai braccianti. Erano loro che “facevano San Martino” ovvero traslocavano altrove per lavorare. La festa, dalle origini antiche, era l’occasione per celebrare la gioia del buon raccolto e lo scampato pericolo della carestia, ma anche il momento della speranza in un futuro sempre più prospero festeggiando al meglio quello, che era considerato, l’ultimo giorno dell’anno del calendario agricolo. È per questo che i contadini aprivano le botti per assaggiare il vino nuovo,
simbolo di ricchezza e benessere.
La Festa di San Martino divenne, alla sua morte, in gran parte dell’Italia rurale una sorta di capodanno: fino al secolo scorso, l’11 novembre cominciavano le attività dei tribunali, delle scuole e dei parlamenti; si tenevano elezioni e scadevano i contratti agricoli e di affitto e tuttora, in molti luoghi, si dice “far San Martino” all’atto di traslocare o sgomberare. Il giorno dedicato al Santo era occasione per “far baldoria”, celebrando la gioia del buon raccolto e lo scampato pericolo della carestia, favorita dalla letizia delle tavole colme di ogni ben di Dio e dal vino “vecchio” che proprio in questi giorni occorre finire per pulire le botti e lasciarle pronte per la nuova annata. Ma in questi giorni scorre a fiumi anche il vino novello: è risaputo infatti che “Per San Martino ogni mosto è vino”.