Dagli etruschi al Brunello biodinamico: l’antica storia di San Polino  

Si racconta che San Polino, oggi apprezzata cantina di Brunello di Montalcino, sia stata fondata nel X secolo, a seguito delle invasioni barbariche che costrinsero gli abitanti della città etrusca di Roselle a ripararsi vicino all’Abbazia di Sant’Antimo. Fu probabilmente in quel periodo che vennero piantati i primi vigneti, anche se per trovare una menzione scritta bisogna aspettare il 1581: San Polino risulta una delle 30 proprietà dell’ospedale di Montalcino Santa Maria della Croce e nei registri vengono citati i vigneti e sei alberi di olivo, tutt’ora presenti e in produzione. “È una storia antichissima, mi piacerebbe tanto scriverci un libro”, racconta Katia Nussbaum, proprietaria di San Polino insieme al compagno (e winemaker) Luigi Fabbro.

Katia, inglese di origini rumene, ha conosciuto Luigi, friulano con esperienze in giro per il mondo (tra cui un progetto di mappatura della biodiversità nella foresta amazzonica) mentre era in visita a Katmandu. Ottenuta la laurea in antropologia sociale lo ha raggiunto a Montalcino e, dopo aver avuto un figlio, Daniel (adesso biologo che collabora con loro), hanno deciso di comprare casa a San Polino, nel 1990. “Quando siamo arrivati era in completo stato di abbandono, senza luce e acqua”, ricorda Katia Nussbaum.

La struttura di San Polino, che nel XVIII secolo passò nelle mani della famiglia senese dei Piccolomini, non è cambiata. Si possono trovare ancora oggi i resti della vecchia fornace e la fontana dove le persone lavavano i vestiti e utilizzavano l’acqua per irrigare i raccolti. Anche il logo dell’azienda è un omaggio al passato etrusco. Si ispira ad un simbolo trovato in una fibbia di cintura di bronzo del IX secolo A.C.: il sole dentro un carro che viene trasportato da ovest ad est (dove può sorgere all’alba) da un uccello acquatico, probabilmente un Ibis. 

San Polino si estende su una ventina di ettari di bosco e 9 ettari di vigneto (4 a Brunello) tutti iscritti a Sangiovese. La produzione è di 25-30.000 bottiglie all’anno di cui circa 18.000 di Brunello, inclusa la Riserva e una selezione dai vigneti più alti chiamata Brunello di Montalcino Helichrysum, che prende il nome da un’erba aromatica selvatica. “Siamo stati la prima azienda biologica di Montalcino – precisa Katia – solo che all’inizio non producevamo vino. La prima annata di Brunello è stata la 2001. Adesso abbiamo la certificazione biodinamica, ma ci tengo a dire che noi crediamo molto nella scienza. Invitiamo scienziati, ricercatori universitari, geologi, botanici, entomologi, ornitologi… Perché più conosciamo gli ecosistemi dei nostri vigneti e più possiamo migliorare la qualità dei nostri vini. L’intento è di ricreare nei vigneti l’armonia microbiologica del bosco. Ecco, la vigna come la foresta: è la nostra utopia, da inseguire insieme al nostro preziosissimo team incluso Alberto Gjilaska che collabora con noi da vent’anni”.

In futuro c’è l’idea di realizzare uno studio per quantificare l’impatto delle emissioni dell’attività di San Polino. “Non penso che riusciremo a centrare la neutralità, bisogna essere onesti, ma l’importante è migliorarsi, rispettare la natura”, spiega Katia. Che intanto si è riscoperta scrittrice. Dopo aver pubblicato un articolo sulla pratica biodinamica, nel periodo di lockdown ha aperto una rubrica sul sito di Jancis Robinson, una delle voci della critica internazionale più autorevoli e seguite al mondo, in cui ha raccontato i primi 19 giorni del Covid-19. E chissà se in futuro la storia di San Polino non possa essere davvero raccontata in un libro…